Ogni disco che ho fatto in passato non mi ha convinto del tutto.
Ricordo di essere partito ogni volta armato delle migliori intenzioni e di idee anche piuttosto chiare. A un certo punto del processo produttivo, tuttavia, qualcosa si inceppava sempre e le cose iniziavano a prendere derive tanto inaspettate quanto, quasi sempre, poco opportune. Ritengo che ciò sia avvenuto sostanzialmente per due motivi.
Il primo riguarda il fatto che, fino a non molto tempo fa, ero evidentemente incapace di circondarmi delle persone davvero giuste, collaboratori in grado di comprendere nel profondo gli obiettivi da raggiungere in base a ciò che avevo in testa originariamente. Il secondo credo riguardi il non aver mai avuto il coraggio di perseguire fino in fondo gli obiettivi che mi ero prefissato. Circa una anno fa mi sono detto: “voglio fare un disco alla vecchia”.
In sostanza desideravo regalare alle mie nuove canzoni un trattamento speciale rispetto al passato; si trattava di una vera e propria missione nei confronti della mia anima.Ecco perchè, a questo giro, ho scelto di ”volermi bene” e di realizzare un disco come “Irrequieto”. Ho azzardato una scommessa con me stesso, quella di fare un passo indietro e di mettermi nelle mani delle persone giuste. Ho raccontato a Ivan Rossi e a Tristan Martinelli tutto quel che mi stava passando per la testa. Ho parlato loro dei dischi di Ivan Graziani, Eugenio Finardi, Lucio Dalla, Lucio Battisti che stavo riascoltando, del fatto che sentissi un’attrazione spasmodica per il suono dei fiati, che volevo provare a fare un album che in qualche modo fosse “soul”, un soul ovviamente alla mia maniera, certamente molto naif e bastardo, imbevuto di tante influenze musicali che non posso né voglio abbandonare.
Quel che desideravo veramente era lavorare su un suono che nascesse e si sviluppasse grazie a un approccio vero e assolutamente poco mediato da trucchi da studio di varia natura. Mi immaginavo i miei pezzi suonati, interpretati, rimasticati da una band di musicisti con le palle quadrate. Mi interessava provare a restare in qualche modo “fuori dal tempo” lavorando su sonorità “calde”, pastose, su un sound che non prescindesse dall’interplay tra musicisti che ci danno dentro nella stessa stanza suonando live uno di fronte all’altro. Volevo fortemente un disco che potesse vantare, tra le sue peculiarità, il calore, la sincerità e l’urgenza e che esprimesse, oltre che le mie idee musicali, anche e soprattutto il mio amore incondizionato per la musica e per un certo modo di farla.
Così ho deciso di lavorare in maniera totalmente diversa rispetto al passato. Al posto di rischiare di perdermi nei meandri dell’arrangiamento, ho preferito “limitarmi” a scrivere le canzoni e a proporre ai miei collaboratori versioni essenziali (voce e chitarra) di esse. Voglio dire, gli elementi fondanti li ho portati praticamente tutti. Parlo di melodia, armonia e testo. Il mio obiettivo era di presentare a Ivan Rossi e a Tristan Martinelli qualcosa su cui fosse possibile immaginare un mondo sonoro con cui “vestire” quel che avevo scritto.
Credo sia stata la scelta giusta.
“Irrequieto” è veramente indicativo di questo approccio “comunitario”. Affidando gli arrangiamenti ai miei due “compagni di merende” ho visto i brani crescere grazie alla bravura e alla sensibilità di due persone che riuscivano ad affrontarli con un orecchio meno “condizionato” del mio. Alla fine, quando si è trattato di battezzare il nuovo disco, ho cercato una parola che riuscisse a rappresentarmi veramente. Davanti a irrequieto non ho avuto dubbi. L’album si sarebbe dovuto intitolare così.
Michele “Mezzala” Bitossi